Marco Avarello

Marco Avarello

Marco Avarello - Amm. Delegato Solco Srl

L’esercizio “si ma, sì e…”

Tristan Bernard è stato un commediografo francese conosciuto non tanto per le sue opere, quanto per i suoi aforismi, uno dei quali dice:  "Per una risposta affermativa, vi è solo una parola: sì. Tutte le altre parole sono state inventate per dire di no".  Chi si occupa in modo professionale di negoziazione, collaborazione e comunicazione sembra aver scoperto che le cose non stanno esattamente così, e che per capire se un sì sia davvero un’affermazione bisogna fare attenzione alla congiunzione che segue, se è un “ma” il sì diventa no se è un “e” il sì esprime convinto consenso, ne consegue che se vogliamo incoraggiare il nostro interlocutore e comunicargli la nostra volontà di collaborare con lui dovremo rispondere sempre “sì e”.

In effetti questa brillante intuizione, che riscuote una certa fortuna nel mondo anglosassone, dorme indisturbata da sempre nel nostro vocabolario, che alla voce “ma” recita: Congiunzione coordinativa avversativa, esprimente spesso esplicita contrapposizione al termine che precede, il quale è per lo più espresso negativamente.

Eppure questa semplice nozione sembra sia spesso dimenticata e il “sì ma” venga pronunciato con troppa leggerezza, con conseguenze negative sul clima interpersonale delle comunità sia familiari sia lavorative, tanto che per ricordarla e metterla nella giusta evidenza sono stati messe a punto specifiche azioni formative.

Un esercizio semplice e divertente consiste nel presentare il problema a un gruppo di persone che lavorano insieme, senza spiegarne più di tanto le implicazioni. Poi il gruppo viene diviso in coppie e per tutti viene assegnato un tema: ad esempio costruiamo qualcosa oppure che facciamo nel pomeriggio. A turno ciascun partecipante dovrà fare una proposta al suo interlocutore, del tipo: potremmo costruire una piscina, l’altro potrà rispondere come vuole, purché la sua replica cominci con “sì ma”, poi le parti si invertono. Ben presto ci si renderà conto di come l’incipit “sì ma” finisca con il colorare inevitabilmente la risposta in modo negativo: sì ma se non la faremo coperta potremo usarla solo d’estate, e la persona che ha parlato per prima avrà la sensazione che il suo dirimpettaio sia molto perplesso o addirittura contrario, insomma penserà di non aver avuto una buona idea.

Dopo qualche minuto si passa al “sì e” cambiando tema: ad esempio girare un film o fare un viaggio. Potremmo andare a Londra, sì e andare a trovare mio cugino che vive lì da molti anni.

La risposta è positiva e comporta una esplicita adesione al progetto.

L’importanza di questa abitudine positiva ha ispirato una rete di formatori e consulenti presenti in diverse parti del mondo, che pubblicizzano i loro servizi dal sito www.yesandyourbusiness.com , si tratta di esercizi formativi molto rapidi, tra qui vi è anche quello qui descritto e che hanno voluto inserire nel loro marchio yes and.

Queste esercitazioni, a detta di chi le propone, sono molto utili per migliorare il clima aziendale, incoraggiare creatività e propositività, motivare le persone che lavorano insieme.

Forse lo sono meno per chi ha maggiori responsabilità se è vero quel che molti leader hanno detto, come nel caso di Tony Blair: L’arte della leadership è dire di no, non dire di sì. E’ molto facile dire di sì.

L'abilità che conduce l'attività al raggiungimento degli obiettivi

Alle abilità tradizionalmente ritenute indispensabili per un efficace esercizio della leadership, ne è stata recentemente focalizzata una che passa sotto la definizione di Paradox navigator.
In un suo recente saggio Dixon Thayer manager e consulente di successo ed esperienza, afferma che dopo trent'anni di lavoro con business leaders di numerose imprese è arrivato alla conclusione che siano tre le caratteristiche che più di tutte, permettono un efficace esercizio della leadership: una visione concreta della strategia aziendale, il carisma motivazionale che coinvolga dipendenti e collaboratori e, appunto, il paradox navigator, definita come l'abilità di condurre un'organizzazione al conseguimento di obiettivi ugualmente importanti ma apparentemente contraddittori.

Quest'ultima, sempre secondo Thayer, sarebbe la caratteristica più recentemente focalizzata e generalmente trascurata, nonostante la sua importanza cruciale.

In effetti i paradossi alla cui soluzione questa capacità porterebbe sono molti e frequenti nella vita di ogni azienda, ad esempio il bisogno di ottenere risultati nel breve termine con la necessità di programmare investimenti e crescita nel lungo periodo, oppure ridurre i tempi di produzione senza perdere cura e qualità nel prodotto.

In generale il minimo comune denominatore di tutti questi paradossi sta nel cercare di fare di più con meno.

Quindi il paradox navigator sembrerebbe una soluzione nuova ad un problema antico, o forse una nuova definizione per una dote che da sempre, inevitabilmente, è esercitata da i manager di successo.

Quest'ultima considerazione può sembrare forse un poco riduttiva della portata della "scoperta" del paradox navigator, che in effetti ci fornisce due indicazioni piuttosto interessanti.

La prima è che, una volta identificata come capacità fondamentale per i ruoli dirigenti, il paradox navigator può essere sviluppato e migliorato con tecniche e metodi propri dell'alta formazione. Analizzandone e modellizzandone le componenti possiamo fornire alla "navigazione" strumenti e metodi che la rendano più sicura e veloce.

La seconda indicazione sta nel fatto che se questa abilità è diventata sempre più evidente nell'operato dei manager di successo è perché la frequenza e la gravità con cui i paradossi si presentano sono molto aumentate negli ultimi anni, sostanzialmente in ragione di due fattori: la continua accelerazione dei tempi dell'economia cui è strettamente correlata la prevalenza assoluta di quella che si può definire come la cultura del cambiamento.

Diceva la matematica e pioniera dell'informatica Grace Murray Hopper, "La frase più pericolosa in assoluto è: abbiamo fatto sempre fatto così". Questo approccio è risultato dominante negli ultimi trent'anni, fino ad attribuire un valore in sé al cambiamento. La stessa pratica del change management si è diffusa perché il cambiamento continuo è ormai un fatto e da questo nasce l'esigenza di rendere le organizzazioni più permeabili, recettive e positive verso trasformazioni sempre più frequenti, prevenendo e scongiurando reazioni critiche o resistenze.

Infine va segnalato il rischio che una fiducia eccessiva nell'abilità di gestire i paradossi generi la pericolosa convinzione che i problemi che essi rappresentano si risolvano senza mai arrivare ad una scelta.

I paradossi aziendali possono certamente essere affrontati e ridotti mediante strumenti come l'ottimizzazione delle risorse, la riduzione dei conflitti, la riorganizzazione dei sistemi, ma tutto questo non basta, a un certo punto deve arrivare la scelta: fare meno e meglio, il paradosso va smontato e l'antinomia che esso contiene risolta premiando un fronte e sacrificando l'altro, il che significa, appunto, scegliere.

Per quanto bene possa essere organizzato un sistema produttivo alla fine, se si vorrà mantenere un elevato livello di qualità del prodotto occorrerà rinunciare ad una esasperata riduzione dei costi e dei tempi di produzione, o viceversa.

Non occorre essere business leaders per sapere che non si possono avere contemporaneamente la botte piena e la moglie ubriaca o, per meglio dire: have one's cake and eat too.

Le scuole serali per il potenziamento della competitività

Ora che la Brexit è un fatto, nel Regno Unito molti si chiedono come contenerne gli effetti negativi che, come ammettono anche i suoi più convinti sostenitori, saranno inevitabili.

Tra questi si prevede una riduzione della capacità delle aziende, soprattutto ma non solo terziarie e terziarie avanzate, di reclutare su un mercato del lavoro diventato meno internazionale, le competenze necessarie a conservare la competitività del sistema.

Sessanta deputati hanno così inviato una lettera aperta al Ministro per la formazione Robert Halfon, invitando il Governo a dotarsi di una strategia nazionale per la formazione degli adulti. Tra il 2000 e il 2015 i fondi pubblici per l’educazione degli adulti sono stati tagliati del 40%, e in un solo anno tra il 2014 e il 2015 gli adulti che hanno avuto una esperienza formativa si sono ridotti del 10,8%.

Al dibattito va fatta la tara della polemica che ancora infuria sulla Brexit, con i pro-Remain che sottolineano senza mezzi termini come un’economia Britannica meno integrata con l’Europa è destinata a perdere competitività sotto tutti gli aspetti, ivi compreso quello delle risorse umane, per cui è sempre stata una formidabile calamita.

Colpisce però che un politico brillante e concreto come David Lammy, ministro dell’Università nel governo Gordon, proponga addirittura la riapertura in massa delle scuole serali, come provvedimento urgente per restituire potenzialità al sistema formativo per gli adulti.

Il Dipartimento dell’educazione e lo stesso Ministro Halfon sembrano condividere queste preoccupazioni ed hanno risposto in modo molto forte, promettendo investimenti per 3,4 miliardi di sterline che entro il 2020 porteranno a recuperare i tagli degli ultimi anni, riportando la spesa per la formazione ai suoi massimi livelli.

Per ora lo scontro è politico e si è consumato sugli annunci e le promesse, ma tutti sembrano concordare sul fatto che serve uno sforzo straordinario a causa della Brexit.

Il sistema formativo britannico tuttavia non ha solo problemi di risorse, ma è considerato anche poco efficace e tra le righe del dibattito citato se ne comprende bene la ragione.

Per motivi storici, insieme agli Stati Uniti, la Gran Bretagna ha sempre saputo attrarre talenti e competenze. Spesso in Italia ritorna il tema della “fuga dei cervelli” in buona misura andati oltre oceano o oltre Manica. In qualche misura, quindi, quel Paese avrebbe perso capacità di creare competenze preferendo nutrirsi di quelle pagate da altri, ecco perché oggi, a causa del suo parziale isolamento, dovrebbe ricominciare a pagarsela da sé. E’ una lettura inquietante, ma sembra l’unica possibile per decifrare l’equazione Brexit = Emergenza formativa.

Da questo punto di vista lo scontro di opinioni e di posizioni sembra molto chiaro, per i pro-Remain un sistema chiuso diventa sterile e meno competitivo, per i loro, vincenti, oppositori invece, può restare competitivo investendo sul capitale fisso umano nazionale, premiando e privilegiando i cittadini britannici rispetto agli stranieri, che nella loro visione saranno sempre meno utili e sempre più stranieri.

una breve riflessione sulla formazione continua francese

Nonostante sia stato riformato per l’ennesima volta nel 2014, il settore della formazione continua in Francia è di nuovo stato criticato duramente e apertamente da molti economisti, esperti del lavoro e soprattutto dalla Corte dei Conti. Attraverso un complesso sistema di prelievi sulla massa salariale, diviso in contribuzione obbligatoria e tassa per la formazione, in Francia questo settore vale 32 miliardi di euro, contro i 5,2 del nostro mercato nazionale.

Ebbene secondo il principale giornale economico del Paese Les Echos, questo considerevole tesoro verrebbe dilapidato in attività inutili, con pesanti sospetti di frodi, favorite anche dal fatto che solo l’1% dei programmi è soggetto a controllo.

E visto che sulla necessità di un’ulteriore riforma il consenso è unanime, lo stesso giornale economico ha condotto una rapida indagine presso i sei candidati alle prossime presidenziali e ne ha offerto il risultato in un articolo pubblicato il 3 febbraio secondo cui il settore pure considerato strategico non è affatto nei pensieri e soprattutto nei programmi dei candidati, configurando una situazione che l’articolista definisce paradossale.

Le due ali estreme, cioè il Fronte Nazionale della Le Pen e il partito di sinistra di Hamon non prendono in considerazione il tema.

Il repubblicano Fillon, il socialista Mélenchon ed il verde Jodot indicano obiettivi generici come: avvicinare la formazione alle reali esigenze delle imprese, realizzare un vero sistema di longlife learning che favorisca una continua crescita professionale e personale del lavoratore; senza però pronunciarsi su come tali obiettivi possano essere raggiunti. Nemmeno quando si tocca il delicato tema del rischio di frodi si accenna alla volontà di aumentare i controlli.

L’unico candidato che sembra avere idee sul merito è l’indipendente Macron, forte della sua esperienza di Ministro dell’economia e dell’industria nel secondo governo Valls, che punta il dito sul sistema dell’intermediazione, cioè sui fondi paritetici, promettendo una riforma che permetta al lavoratore ed alle aziende di scavalcarli, accedendo direttamente alle risorse destinate alla formazione. Nel mirino, quindi, ci sarebbero gli OPCA (organisme paritaire collecteur agréé) che queste risorse amministrano e che in Francia, salvo due casi peraltro molto importanti, sono paritetici ma non sono interprofessionali bensì settoriali.

La notizia è che questa affermazione non ha fatto notizia, segno che in Francia, come in Italia, nonostante interessi economici assai più rilevanti di quelli mossi da noi, la formazione continua fa una maledetta fatica ad attirare l’attenzione della classe politica e non fa notizia se non quando si tratta di cronaca giudiziaria.

Un monito per tutto il settore, considerando che l’indifferenza della politica verso un interesse tutelato è il naturale presupposto perché quella tutela venga meno.

Lunedì, 23 January 2017 12:47

L’entretien professionnel

Uno strumento innovativo di sostegno alla crescita del lavoratore

La legge sulla formazione professionale francese del 2014, modificata il 6 Agosto 2016, introduce l’istituto dell’entretien professionnel.

Si tratta di un dispositivo piuttosto originale, che prevede l’obbligo per il datore di lavoro, di organizzare un colloquio con ciascun dipendente con frequenza biennale e quello di fare un bilancio della sua vita lavorativa ogni sei anni.

Il dispositivo è un’esortazione, con remote e indirette sanzioni in caso di mancato rispetto, (3000 euro di ammenda per le aziende inadempienti con più di 50 dipendenti) ma ciò che lo rende interessante è lo spirito innovativo che ha ispirato il legislatore francese. Il colloquio non serve a misurare le capacità del lavoratore, per cui esiste la possibilità del colloquio annuale di valutazione, né tantomeno deve essere considerato un esame, tutt’altro. Questo incontro è un diritto del salariato, un diritto, potremmo dire all’attenzione che la sua azienda deve prestargli, non solo per cercare soluzioni che nel suo interesse e in quello dell’organizzazione per cui lavora, lo rendano più produttivo, ma per aiutare un percorso di crescita professionale continua, e perché la sua vita lavorativa risponda ad un progetto di sviluppo personale.

L’idea alla base di questa piccola e se si vuole anche vaga riforma, non sono infatti fissate le modalità del colloquio, diventa più chiara quando si specifica che nel bilancio da farsi ogni sei anni, vanno accertati almeno tre elementi: accertare se il lavoratore abbia partecipato almeno ad un evento formativo; accertare se la formazione seguita sia stata certificata o comunque validata, in modo da accrescere il suo CV e infine se nel periodo considerato lui abbia beneficiato di un progresso salariale o professionale. Il primo gennaio 2017 è scaduto il termine per la prima serie di colloqui, in curiosa coincidenza con l’entrata in vigore della contestatissima legge del lavoro.

Questo sito utilizza i cookie tecnici per il proprio corretto funzionamento e cookie di terze parti per l'implementazione di alcune funzionalità esterne (ad es. Google Analytics). Navigando le pagine del sito o cliccando su 'OK' acconsenti all'impiego dei cookie.

Informativa completa